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La discesa di Odisseo nell'Ade

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07/05/2008

Tratto da:
Omero, Odissea, XI, 152-207
in: Giovanna Bemporad, Odissea, ERI, Torino, 1970

Guida alla lettura

Durante le peregrinazioni che lo riporteranno a Itaca, Odisseo compie un pauroso viaggio nell’Ade, l’oltretomba posto ai confini dell’Oceano, dove le anime dei morti conducono un’esistenza inattiva e incosciente. Solo bevendo il sangue delle vittime immolate dall’eroe prima di scendere nell’abisso, esse possono per breve tempo riacquistare coscienza e parlare con lui.
Lo scopo principale della visita è l’incontro di Odisseo con Tiresia: l’indovino lo informa delle dure peripezie che lo attendono prima e dopo il ritorno in patria, e gli annuncia che, anche dopo la vittoria sui pretendenti al trono, un nuovo viaggio lo riporterà in mare, ove infine troverà la morte.
Il dialogo con la madre è il punto di maggior tensione affettiva dell’episodio: uccisa dal dolore per la perdita del figlio, apparentemente disperso dopo la guerra di Troia, Anticlea racconta lo strazio suo e dell’anziano padre Laerte, che ora rifugge lo sfarzo di corte, e vive in solitudine ed estrema povertà.
Al momento del congedo, Odisseo per tre volte cerca di abbracciare la madre, ma questa gli sfugge come un’ombra o un sogno: un’immagine fra le più toccanti della poesia di tutti i tempi, e che verrà ripresa da Virgilio nell’Eneide.
In questa scena, tutte le corde della sofferenza per la perdita di un figlio vengono toccate con vigore e, al tempo stesso, con delicata sobrietà: il dolore che schianta e toglie la vita; il rimpianto che risparmia la vita ma la trasforma in profondità, spingendo a sognare ogni giorno il ritorno del figlio amato; il desiderio, irrealizzabile nella visione degli Antichi, di colmare l’abisso che la morte apre fra i vivi e i defunti.
La profondità dei sentimenti descritti ci colpisce e commuove tanto di più, quando pensiamo che questi versi di incomparabile bellezza sono stati composti 2700 anni fa.
Io lì fermo restai, finché mia madre sopraggiunse
che bevve il nero sangue e mi conobbe,
e tra il pianto disse a me parole alate:
«Come scendesti, figlio mio, da vivo
nell’ombra tenebrosa? Arduo è vedere
questi luoghi, ai viventi. E grandi fiumi
vi sono in mezzo, e orribili correnti,
e l’Oceano, anzi tutto, che uno a piedi
non può varcare, se una bella e salda
nave non abbia...».
Disse; e allora parlando io le risposi:
«O madre mia, necessità mi spinse
quaggiù nell’Ade, a interrogare l’ombra
del tebano Tiresia; e non ancora
giunsi presso all’Acaia, e non ancora
sopra la nostra terra io misi il piede,
ma sempre vado errando, affanni soffro,
da quel giorno che a guerreggiare
contro i Teucri, Agamennone divino
seguii, verso Ilio ricca di puledri.
Ma tu parla sincero, e questo dimmi:
quale fato di morte, lungo strazio,
ti ha sopraffatta? un lento morbo? o forse
ti colpì coi suoi miti dardi e uccise
la saettante Artemide? E del padre
dimmi, che lasciai...». Dissi e
subito a me rispose l’augusta madre:
«... Là nei campi resta tuo padre,
e alla città non scende;
né letti ha per sdraiarsi, né tappeti
splendidi o coltri, ma in inverno
dorme in casa presso il fuoco,
nella cenere, e vesti umili ha indosso.
Quando viene l’estate, o il ricco autunno,
per lui bassi giacigli di ammucchiate foglie
si fanno ovunque, sul declivio
del fertile vigneto: e qui egli giace
dolente, e accresce in cuore la sua pena
sognando il tuo ritorno, e una vecchiezza
dura gli è sopra. Anch’io così mi spensi,
compiendo il fato, e non la saettante,
che dritta mira, coi suoi miti dardi
mi colse e uccise nelle stanze, e morbo
non mi assalì... ma il rimpianto di te, nobile Ulisse,
del tuo senno e del tuo tenero affetto,
mi ha tolto il bene della dolce vita».
Disse: io, tra me pensando, avrei voluto
l’ombra abbracciare della madre morta.
Tre volte mi slanciai, mi urgeva in cuore
di abbracciarla, e tre volte dalle braccia
mi volò via, simile ad ombra o a sogno.

Biografia

Con il nome di Omero è indicato un poeta dell’Asia Minore che, intorno al 750 avanti Cristo, riprese antichi temi eroici legati alla tradizione orale degli aedi e li trasformò, con un potente atto creativo, nei due più importanti poemi epici dell’antichità: l’Iliade e l’Odissea. L’assedio e la presa di Troia, che offrì la materia di base per le due composizioni, risalgono invece al 1300-1200 a.C.
Intorno alla figura storica del poeta e alla composizione dei due poemi nacque sin dall’epoca alessandrina (III secolo a.C.) un’accesa disputa filologica nota come “questione omerica”. A lungo si sostenne che le redazioni giunte a noi fossero molto tarde, risultato di una mera “cucitura” di parti preesistenti e indipendenti fra loro.
Oggi si ritiene invece che i due poemi, pur derivando da un’antichissima tradizione orale, siano profondamente unitari nella loro composizione, ed espressione di un genio poetico fra i più alti nella storia dell’umanità. Si suppone inoltre che Omero sia un poeta realmente esistito e gli si attribuisce con ragionevole certezza la stesura dell’Iliade, mentre l’Odissea viene considerata più recente e composta nella sua forma definitiva durante il VII secolo a.C. Nonostante questa distinzione, sotto il nome di “Omero” continuano ad essere pubblicati, letti e amati entrambi i poemi.
Per approfondire la questione omerica e la conoscenza del mondo di Omero, consigliamo vivamente la lettura di Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Volume primo, Il Saggiatore, Milano, 2005
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