EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Immune system to brain signaling: neuropsychopharmacological implications

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
29/11/2012

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Capuron L, Miller AH.
Immune system to brain signaling: neuropsychopharmacological implications
Pharmacol Ther. 2011 May; 130 (2): 226-38
Illustrare le più recenti evidenze sui rapporti tra sistema nervoso e sistema immunitario, con specifico riferimento ai meccanismi dell’infiammazione: è questo l’obiettivo dell’accurata review di L. Capuron e A.H. Miller, del Laboratory of Nutrition and Integrative Neurobiology, presso l’Università Victor Segalen di Bordeaux, Francia.
Negli ultimi decenni si è verificato un enorme ampliamento delle nostre conoscenze sulle vie e sui meccanismi con cui il sistema immunitario può influenzare il cervello, il comportamento e la genesi di disturbi come la depressione maggiore. Nei pazienti depressi, infatti, sono state trovate evidenze di tre importanti alterazioni della funzione immunitaria:
- una ridotta attività delle cellule natural killer;
- una ridotta proliferazione dei linfociti;
- un aumento dei livelli di marker infiammatori.
Le citochine pro-infiammatorie prodotte dei mastociti, quali l’interleuchina 1 (IL-1), l’interleuchina 6 (IL-6) e il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa), sono attivate dalle cellule del sistema immunitario in risposta a un danno tissutale e/o allo stress ambientale. Tramite il torrente circolatorio possono accedere al sistema nervoso centrale e interagire con le cellule nervose, la glia e le citochine presenti nel cervello, influenzando virtualmente ogni funzione cerebrale rilevante per il comportamento, come il metabolismo dei neurotrasmettitori, la funzione neuroendocrina, la plasticità sinaptica e i neurocircuiti che regolano umore, attività motoria, motivazione, ansia e sistema d’allarme. Esse possono inoltre stimolare la microglia che, in condizioni fisiologiche, è un importante fattore di neuroplasticità, ma in condizioni di iperattivazione diviene un potente elemento neuroinfiammatorio.
Le conseguenze comportamentali di questa cascata di eventi includono ansia, stanchezza cronica, rallentamento psicomotorio, riduzione dell’appetito, disfunzioni cognitive e disturbi del sonno: tutti sintomi che significativamente si sovrappongono a quelli che caratterizzano i disturbi neuropsichiatrici e, in particolare, la depressione.
Le sostanze più importanti per la mediazione di tali effetti includono:
- le citochine pro-infiammatorie, le proteinchinasi p38 attivate da mitogeno e il fattore nucleare kappa B;
- la serotonina, la dopamina e il glutammato;
e agiscono soprattutto sui neurocircuiti che coinvolgono i gangli basali e la corteccia cingolata anteriore.
Nel corso di un danno tissutale, il rilascio delle citochine e degli altri mediatori dell’infiammazione è normalmente transitorio: di conseguenza, anche gli effetti comportamentali costituiscono una reazione adattativa, temporanea e controllata ai segnali immunitari. Ma quando questi segnali si cronicizzano o si sregolano, la persistenza della risposta infiammatoria può tradursi in sintomi comportamentali clinicamente rilevanti e in franche patologie neuropsichiatriche, come appunto la depressione maggiore.
Fattori di vulnerabilità – come l’età, l’obesità e lo stress cronico – sembrano interagire con l’azione del sistema immunitario, aggravandone gli effetti a livello neuropsichiatrico.
La piena comprensione di questi meccanismi, concludono gli autori, potrà aprire la strada a importanti sviluppi terapeutici, così come ad efficaci misure preventive nei confronti delle persone a elevato rischio di depressione maggiore, di disturbi d’ansia e di personalità, e di malattie neurodegenerative come la demenza di Alzheimer e il morbo di Parkinson.
Sullo stesso argomento per professionisti

Flash dalla ricerca medica internazionale

Flash dalla ricerca medica internazionale

Flash dalla ricerca medica internazionale

Flash dalla ricerca medica internazionale

Sullo stesso argomento per pazienti

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter