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Il paradiso, luogo d'amore e salvezza per tutte le creature

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17/06/2015

Tratto da: Enzo Bianchi, Come immagino il paradiso, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2015

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questo splendido brano – che è solida riflessione teologica e delicata confessione personale allo stesso tempo – Enzo Bianchi, priore di Bose, racconta come nel tempo sono mutate le sue immagini del paradiso, quel “luogo” di gioia senza fine che, secondo il credente, attende coloro che hanno speso la vita nel bene e per il bene di sé e degli altri. Immagini via influenzate dall’età e dagli studi biblici, e che ora, nella vecchiaia, «sono svanite» lasciando il posto all’attesa, alla fiducia, e anche al timore, perché è proprio dell’uomo giusto temere il giudizio di Dio sulle proprie responsabilità.
Nell’assenza delle immagini, però, permane in Bianchi una speranza: quella di ritrovare tutto coloro che ha amati e che lo hanno amato in questa vita. E con audacia precisa: «Quelli che ho amato bene e quelli che ho amato male». Il che significa che nessuna concreta forma di amore andrà perduta, ma tutte saranno in qualche modo portate a perfezione da Dio e consegnate all’eternità. Una prospettiva consolante per tutti noi, che spesso amiamo e siamo amati, ma quasi sempre in modo imperfetto, limitato dal nostro egoismo. Certo è che, in questa visione del paradiso, non ci saranno più amori legittimi e amori illegittimi, e tutte le condanne che gli uomini, e le chiese, spesso pronunciano sull’amore concreto, quotidiano degli uomini e delle donne di tutti i tempi, svaniranno all’improvviso alla luce del volto di Dio. Una prospettiva rivoluzionaria, che non manca di evidenziare i limiti della morale comune che gli uomini elaborano per disciplinare la vita su questa terra.
Bianchi, infine, confessa la speranza di ritrovare «questa terra che tanto ho amato, certamente da Dio trasfigurata, ma ancora questa terra con le sue colline, le sue vigne, i suoi boschi»: una terra ferita dagli uomini ma che non cessa di donarci bellezza e tenerezza, nella vita misteriosa degli alberi, nell’aspra presenza delle montagne, nell’infinita distesa dei mari, nella compagnia degli animali che allietano le nostre giornate. Anche tutto questo sarà salvato e ritrovato e liberato dal laccio della morte, nel paradiso che Bianchi immagina per sé e per noi. Così, alla fine della sua riflessione, tornano quelle immagini che gli parevano perdute per sempre, perché l’uomo vive nella speranza di un aldilà di pace, e per alimentare questa speranza attinge alle cose belle che vede e ama in questo mondo.
Ogni cristiano che recita il “Credo”, la professione di fede, dice: «Credo la resurrezione della carne, la vita eterna. Amen», e questo credere non è periferico, ma fondamentale nella fede cristiana. Il cristiano, dunque, crede che ci sia un dopo la morte, una vita piena per sempre, nella quale non vi saranno più pianto, né dolore, né malattia, né morte, ma la gioia eterna della comunione, attraverso Gesù Cristo, con Dio e con gli uomini e le donne da lui salvati. Anch’io, in quanto cristiano e monaco, aderisco a questa speranza, ma confesso che il mio immaginario è molto personale ed è mutato nelle diverse stagioni della mia vita. La domanda che mi viene posta: «Come immagini il paradiso?», mi spinge dunque a dare diverse risposte.
Innanzitutto, il paradiso è un’immagine che ci viene trasmessa quando siamo piccoli, e così è stato anche per me. Quando morì mia mamma avevo solo otto anni. Chiedevo dov’era andata, perché non riuscivo ancora a comprendere la morte, e mi veniva risposto: è in paradiso, in un bel giardino, e là passeggia tra gli asfodeli, fiori molto profumati. Così immaginavo dunque il paradiso e speravo di andarci presto, per ritrovare mia mamma e vedere questi fiori profumati che nessuno sapeva descrivermi, perché nel Monferrato nessuno li aveva mai visti. Con la giovinezza e gli studi biblici, elaborai altre immagini, sovente in contrapposizione al possibile esito opposto: gli inferi, luogo di perdizione, lontano da Dio e da tutti gli altri.
Il paradiso assumeva le immagini della Bibbia che leggevo e studiavo: un luogo pieno di luce, in cui non era mai notte; un luogo di pace, senza litigi, dispute, violenze, guerre; un banchetto con abbondanza di cibi squisiti e di vini raffinati; tanta musica e la possibilità di stare insieme, in una festa continua… Belle immagini, ma che svanivano velocemente, perché la ragionevole fede mi spingeva a comprendere che il paradiso non era un luogo, bensì una condizione di comunione con il Signore. Mi piaceva però l’immagine del pranzo con piatti sempre nuovi e dal gusto straordinario, dell’ascolto di musiche che rendevano l’eternità sopportabile…
Poi le immagini del paradiso sono cambiate ancora, tra dubbi, rinnovamenti della speranza, a volte anche stanchezza delle immagini stesse e desiderio di rinnovarle. Ora che sono vecchio, il paradiso o l’esito contrario dell’inferno sono sempre più prossimi: non nascondo una certa paura che mi abita al pensiero della morte, perché credo nel giudizio di Dio sulle mie responsabilità, sul mio operare che è stato buono o cattivo. Spero soprattutto che nessuno vada all’inferno; ma se qualcuno ci va, allora – mi dico – rischio di andarci anch’io, che non mi sento tanto diverso dagli altri nell’acconsentire all’egoismo che mi abita. E le immagini del paradiso, da vecchio? Sono svanite. Oggi non so dire, non so immaginare, non oso neppure pensare di dire qualcosa che lo descriva. Nella mia fede è solo una cosa: una grande comunione in Gesù Cristo, in cui regnerà l’amore. Sono convinto che chi ho amato qui sulla terra, lo ritroverò anche di là, e così continueranno il nostro amore e la nostra amicizia.
Se pensassi di andare di là e di non trovare più i miei amici, preferirei allora non andarci! Spero di ritrovare questa terra che tanto ho amato, certamente da Dio trasfigurata, ma ancora questa terra con le sue colline, le sue vigne, i suoi boschi… Sì, vorrei che continuassero le “storie d’amore” vissute qui; anzi, che riprendessero quelle che si sono interrotte e, senza gelosie né concorrenze, potessimo tutti insieme bere alle coppe del vino dell’amore. Per farvi sorridere, cari lettori, vi confesso che ho un’altra paura: di finire sì in paradiso, ma vicino a persone che non mi piacevano, sebbene fratelli o sorelle nella fede e magari anche di rinomata santità. No, questo proprio no! Ma forse, se Dio mi salverà, sarò cambiato tanto da sopportare anche questo. Purché il Signore non mi faccia perdere gli amici, quelli che ho amato bene e quelli che ho amato male: li vorrei con me.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.
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