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Il martirio cristiano, storia e significato – Prima parte

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26/02/2014

Luciano Manicardi, monaco di Bose

Guida alla lettura

In questo articolo Luciano Manicardi, monaco di Bose, illustra il significato storico e spirituale del martirio cristiano, fenomeno violento e sconcertante che segna soprattutto i primi secoli di vita della chiesa. L’analisi è estremamente densa sotto il profilo speculativo e ricca di riferimenti tratti dalla Scrittura e dalla letteratura dei “padri” (i teologi cristiani dell’Antichità): la pubblichiamo quindi in due puntate. Anticipando però le conclusioni a cui tende tutta l’argomentazione di Manicardi: il martirio non è un atto autolesionistico che nasca da una sorta di “fanatismo del dolore”, ma un atto di fedeltà consumato nella libertà, un’esperienza estrema che dimostra come l’amore sia più forte della violenza e della morte. In questo senso, il martirio dei primi cristiani è perfettamente coerente con l’atteggiamento che Gesù ebbe nei confronti della propria morte, e che tante volte abbiamo illustrato in questa rubrica: pur nell’angoscia estrema delle ultime ore prima dell’arresto, Gesù accettò la prospettiva della croce non per compiacere alla “volontà” di un Padre insensibile e crudele, ma per non rinnegare tutta una vita spesa nell’amore per Dio e per gli altri.
In questa prima parte, Manicardi sottolinea alcune dimensioni rilevanti del martirio: testimonianza libera e consapevole; attestazione di fede nella verità fisica delle sofferenze patite dall’uomo Gesù, messa in dubbio dall’eresia nota come “docetismo”; compimento del Vangelo, e in particolare di quei luoghi in cui si prevedono sofferenze e persecuzioni per i cristiani (anche qui: non per un volere perverso di Dio, ma perché in un mondo ingiusto il giusto è sempre destinato a soccombere); imitazione concreta della vita e dello stile di Cristo. Nella seconda parte Manicardi completerà l’analisi del fenomeno illustrandone infine, come abbiamo detto, il vero significato alla luce del Vangelo. E noi, nel nostro commento, trarremo alcune conclusioni valide per le donne e gli uomini di oggi.
Per analizzare il rapporto che la fede cristiana, come attestata nella letteratura cristiana antica e nei Padri della Chiesa, ha intrattenuto con l’umana esperienza del soffrire è praticamente d’obbligo soffermarsi inizialmente sul martirio. Se esso può apparire un’esperienza “estrema” del rapporto con la sofferenza, in realtà, proprio per la sua radicalità, il martirio può indicare qualcosa di fondamentale e di valido sempre circa il rapporto tra fede cristiana e sofferenza. Inoltre, il martirio costituisce un’esperienza antichissima del cristianesimo, attestata già nel Nuovo Testamento (si pensi al martirio di Stefano narrato in Atti degli Apostoli 7,55-60, all’uccisione di Giacomo di Zebedeo a cui fa cenno Atti degli Apostoli 12,2, ma anche alle persecuzioni e all’imprigionamento subito da diversi apostoli: Pietro, in Atti 12,3ss.; Paolo, in Atti 21,27ss.; 2Corinti 4,9; 6,5; ecc.) e fondata sull’esempio di Cristo, la cui morte in croce è stata narrata come martirio almeno in parte della tradizione evangelica (il vangelo secondo Luca). Esso poi ha segnato i primissimi secoli della chiesa primitiva, ma è anche un tema di grande attualità, visto il gran numero di cristiani di diverse confessioni che in tante parti del mondo vengono perseguitati e incarcerati, torturati e uccisi a motivo della loro fede. Inoltre, come è stato autorevolmente affermato circa il martirio, «dopo i dati del Nuovo Testamento, nessun fattore ha avuto un peso più rilevante nella formazione della spiritualità cristiana» [1]. Ieri come oggi il martirio è il “caso serio” della fede cristiana. Un grande studioso dei padri della chiesa ha potuto affermare che il martirio, in quanto «testimonianza della fede resa nel sacrificio della vita con piena consapevolezza e libertà, costituisce il valore culminante dell’esperienza religiosa quale dono supremo di adorazione e di amore offerto dall’uomo a Dio» [2].
Il fondamento della prassi, prima ancora che della teologia, del martirio, è costituito dalla convinzione della realtà delle sofferenze patite da Gesù Cristo. In polemica con le tendenze docetiche che ben preso si svilupparono, ovvero, con la linea di pensiero che tendeva a sminuire l’incarnazione e a non accordare che valore di apparenza alla corporeità, alle sofferenze e alla morte di Cristo, i padri della chiesa sempre hanno sottolineato con forza la realtà della passione di Cristo. Ignazio di Antiochia, nel suo viaggio verso Roma dove attendeva il martirio, scrive ai cristiani di Smirne: «Gesù Cristo fu veramente inchiodato nella carne … Egli soffrì realmente come realmente risuscitò, non come dicono alcuni infedeli, che soffrì in apparenza» (cf. Ignazio, Agli Smirnesi I -II). Con Ignazio siamo agli inizi del secondo secolo. La stessa testimonianza delle sofferenze del martire diviene una prova della realtà delle sofferenze di Cristo: «Se, come dicono quelli che sono atei, cioè senza fede, Gesù soffrì in apparenza, mentre sono loro che vivono in apparenza, perché io sono incatenato? Perché bramo di combattere contro le belve? Invano dunque muoio?» (Ignazio, Ai Tralliani X). E similmente: «Se è un’apparenza quanto è stato fatto dal Signore, anch’io sono in apparenza incatenato. Allora, perché mi sono offerto alla morte? Per il fuoco, per la spada, per le belve? Ma vicino alla spada, sono vicino a Dio, vicino alle belve sono vicino a Dio, solo nel nome di Gesù Cristo. Per soffrire con lui, io tutto sopporto, dandomene la forza colui che si è fatto uomo perfetto» (Ignazio, Agli Smirnesi V,2).
Inoltre le sofferenze e il martirio sono compimento del vangelo. I credenti sanno bene che la promessa del Signore per coloro che decidono di seguirlo comprende anche le persecuzioni: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del vangelo che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel mondo che verrà» (Marco 10,29-30). Il discorso escatologico di Gesù nei vangeli sinottici contiene anticipazioni della sorte futura dei credenti in lui: «Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia… Vi condurranno via per consegnarvi… Sarete odiati da tutti…» (cf. Marco 13,9.11.13); «viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» (Giovanni 16,2). Per i padri della chiesa è evidente che il soffrire e patire a motivo della fede fa parte della "sequela Christi", dell’identità del discepolo, e che il martirio, la perdita della vita per fedeltà a Cristo, è esito possibile della sequela, anzi, l’esito più alto, quello che attesta nella maniera più certa l’autenticità del cammino del credente. La morte per Cristo attesta in modo inequivocabile che la vita è stata vissuta per Cristo. Policarpo, vescovo di Smirne, morì martire nel 167, e il suo martirio è definito testimonianza “secondo il vangelo” (Martirio di Policarpo I,1). Il martirio è cioè compimento del vangelo; esso realizza la forma del vangelo in una persona, anzi vi realizza la figura di Cristo stesso, tanto che il martirio viene visto come il vertice dell’imitazione di Cristo. Scrive Ignazio di Antiochia ai cristiani di Roma: «Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio» (Ignazio, Ai Romani VI,3), e ai cristiani della città di Magnesia: «Se noi non siamo disposti a morire per imitare la passione del Signore, la sua vita non è in noi» (Ignazio, Ai Magnesii V,2).

Note dell'Autore

1) L. Bouyer – L. Dattrino, La spiritualità dei Padri (II-V secolo), vol. 3/A, Dehoniane, Bologna 1984, p. 39
2) M. Pellegrino, Chiesa e martirio in sant’Agostino, in Rivista di Storia e Letteratura religiosa, 1 (1965), p. 191

Biografia

Luciano Manicardi è nato a Campagnola Emilia (Reggio Emilia) nel 1957. Si è laureato in lettere classiche a Bologna, con una tesi sul Salmo 68. Dal 1981 fa parte della Comunità Monastica di Bose (BI), dove ha continuato gli studi biblici ed è attualmente Maestro dei novizi e, dal 2009, Vice Priore.
Membro della redazione della rivista “Parola, Spirito e Vita” (Dehoniane, Bologna), svolge attività di collaborazione a diverse riviste di argomento biblico e spirituale, tiene conferenze e predicazioni.
Dal 2008 è membro del Comitato Culturale della Fondazione Alessandra Graziottin.
Parole chiave di questo articolo
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