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Dio conta le lacrime delle donne – Terza parte

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11/05/2011

Elena Lea Bartolini De Angeli

Guida alla lettura

Pubblichiamo la terza e ultima parte della riflessione di Elena Lea Bartolini De Angeli sull’espressione «Dio conta le lacrime delle donne», contenuta nel Talmud ebraico. Come abbiamo parzialmente anticipato nell’introduzione alla prima puntata, due sono le riflessioni portanti di questa sezione conclusiva.
Primo: la donna è particolarmente coinvolta nella trasmissione della vita e, in questo senso, essa è una “benedizione” per il marito e la famiglia. Al tempo stesso, essa deve affrontare la sofferenza che può derivare dai suoi ritmi biologici, dal parto o – come insegna la storia di molte donne nella Bibbia – dall’infertilità. Da qui, forse, discende la bellissima espressione del Talmud, che ritrae con splendido antropomorfismo la premura di Dio per queste sue creature.
Secondo: il ruolo e l’indole emotiva della donna sono talmente centrali agli occhi di Dio, che il termine ebraico “utero” – “rechem” e soprattutto il plurale “rachamim”, gli uteri (quasi a voler significare la sovrabbondanza dell’amore che spinge la donna a donare la vita) – indica nella Bibbia anche la misericordia di Dio. Si tratta di una significativa traslazione semantica che troviamo anche nel greco del Nuovo Testamento, ove “splagchnízō” (provo compassione) deriva da “splágchna”, viscere. L’evangelista Marco, per esempio, narrando la guarigione che Gesù opera su un lebbroso, afferma: «Mosso a compassione [splagchnistheís], stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci!» (Mc 1,41); e Luca, nella parabola sull’identità del “prossimo”, racconta: «Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione [esplagchnísthē]» (Lc 10,33).
“Contare le lacrime delle donne” – conclude Elena Lea Bartolini – è un esemplare atteggiamento di Dio verso il dolore femminile, e come tale dovrebbe spingere anche gli uomini, tutti gli uomini, ad analoga attenzione e delicatezza.
Amore e dolore al “femminile” nella Scrittura
Fra le figure bibliche femminili che hanno dovuto affrontare sofferenze significative troviamo donne come le matriarche: Sara, Rebecca, Lea e Rachele, oppure Anna, la madre di Samuele, che hanno dovuto misurarsi con il problema della sterilità, il quale non ha risparmiato neppure Elisabetta, la cugina di Maria di Nazareth. Nel contesto in cui queste donne hanno vissuto, tale problema costituiva un elemento problematico, in quanto la fecondità era considerata una benedizione divina e, di conseguenza, la mancanza di una discendenza era letta come una sorta di castigo. Tutte queste donne, ci dice la Scrittura, in virtù della loro fede sono state “visitate” dalla provvidenza divina che ha concesso loro dei figli: possiamo però immaginare il disagio, per non dire la vergogna, che hanno dovuto affrontare prima che ciò potesse manifestarsi. In virtù del suo essere particolarmente coinvolta nella trasmissione della vita la donna è una “benedizione” per il marito e la famiglia ma, nello stesso tempo, deve affrontare la sofferenza che può derivare dai suoi ritmi biologici, dal parto o dalla sterilità. Non è cosa da poco! Sarà per questo motivo che «Dio conta le lacrime delle donne»?
In ogni caso la tradizione ebraica insegna che sono proprio gli aspetti “femminili” del Dio dell’alleanza a mostrarci il suo “volto” di misericordia e di amore nei confronti degli uomini. Una rilettura mistica della Genesi, conosciuta come tzimtzum, letteralmente “contrazione”, descrive la sua azione creatrice come una sorta di parto accompagnato da doglie attraverso il quale Dio, “contraendosi”, avrebbe rinunciato a qualcosa di sé per lasciare spazio al mondo e all’uomo [1]. Un’immagine che ripropone attraverso la maternità il massimo dell’amore nel segno del dolore, un amore e un dolore divini che potremmo definire “femminili” e che, fin dalla creazione, caratterizzano l’evolversi della storia del mondo e degli uomini. Interessante inoltre nella Scrittura è l’uso del termine ebraico rechem – e del suo plurale rachamim – per indicare sia l’utero femminile che le viscere come sede degli affetti e quindi della misericordia e della compassione. Questo termine è spesso utilizzato per indicare il modo con cui Dio si interessa dell’umanità, come ben espresso per esempio in questi passi profetici:

«Voi, portati da me fin dal concepimento, sorretti fin dal seno materno». (Is 46,3)
«Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi nelle viscere per il figlio delle sue viscere? Anche se questa donna si dimentica, io invece non ti dimenticherò mai». (Is 49,15)
«Come una madre consola un figlio così io vi consolerò. In Gerusalemme sarete consolati». (Is 66,13)
L’immagine mostra come dall’utero, luogo dei dolori del parto, provenga la consolazione. Ancora una volta l’orizzonte è quello femminile.
Cosa ne possiamo dedurre? Innanzitutto che amore e dolore, gioia e sofferenza sono due aspetti imprescindibili dell’esistenza umana fra loro correlati come le due “facce” della stessa medaglia; inoltre “contare” costituisce un’operazione che rivela l’importanza di un evento – rimanda infatti all’attesa di qualcosa di importante –, e pertanto «contare le lacrime delle donne» potrebbe rivelare il mistero d’amore che può celarsi dietro ad un evidente dolore “femminile” che, se non è indifferente agli occhi di Dio, non può esserlo neppure a quelli dell’uomo.

Note

1) Cfr. Il significato della sofferenza nell’ebraismo – Il dolore di Dio, sezione “Il dolore e la spiritualità”, 2009, su questo stesso sito.

Biografia

Di origini ebraiche da parte materna, Elena Lea Bartolini De Angeli è nata a Pavia nel 1958. Dottore in Teologia Ecumenica con specializzazione in ermeneutica rabbinica, è membro dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG), del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) e dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana (AMI).
E’ docente di Giudaismo presso il Centro Studi Vicino Oriente di Milano e presso l’ISSR-MI collegato alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale; collabora con diversi Atenei pontifici – tra i quali l’Istituto di Studi Ecumenici S. Bernardino di Venezia, l’Università Pontificia Salesiana (UPS), il San Bonaventura, il Marianum e l’Auxilium di Roma – e con diversi Istituti Teologici.
E’ docente e consulente all’interno di diverse iniziative locali e nazionali per il dialogo fra le chiese e gli ebrei: in particolare, ha curato il progetto Judaica (1998-2003) promosso dalla Casa Editrice Ancora di Milano. Attualmente dirige la collana “Studi Giudaici” per la Casa Editrice Effatà e cura la rubrica “Judaica” per la nuova edizione della rivista “Terrasanta” nell’ambito dei periodici della Custodia francescana. E’ consulente di redazione per le riviste “Terrasanta” e “Jesus”.
Ha curato la revisione ecumenica e la stesura delle voci ebraiche per l’“Enciclopedia del Cristianesimo”, edita da De Agostini (Novara 1997); ha curato alcuni “Quaderni” sull’Ebraismo per le Edizioni Studio Domenicano (Bologna 1997-1999), per le quali ha coordinato anche i “Quaderni” sulle Chiese della Riforma (Bologna 2004-2007).
Ha diretto la sezione “Ebraismo” per la nuova edizione dell’“Enciclopedia Filosofica”, edita da Bompiani (Milano 2006), a cura della Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate, sotto la direzione del Prof. Virgilio Melchiorre dell’Università Cattolica di Milano.
Collabora con gli Uffici Nazionali della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e con alcune riviste, tra le quali, SeFeR (Studi-Fatti-Ricerche), Qol, Horeb, Studi Ecumenici, Parola Spirito e Vita (PSV), Rivista di Pastorale Liturgica (RPL), La scuola domenicale.
E’ membro del gruppo interconfessionale “Teshuvah” del Centro Ecumenico Diocesano di Milano, per il dialogo fra le chiese e gli ebrei, e collabora con il Segretariato Attività Ecumeniche (SAE). E’ socio fondatore e membro del Consiglio direttivo del Centro Studi Nazareth Alta Formazione (CeSNAF), per la promozione integrale della persona, della coppia e della famiglia.

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