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Con gli amici, a sera

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19/05/2010

Callimaco, Antologia Palatina, Libro VII, 80
David Maria Turoldo, La sentenza

Guida alla lettura

Che cosa hanno in comune un poeta alessandrino del III secolo avanti Cristo e un monaco italiano del Novecento? Nulla, in apparenza. Ma leggendo le loro liriche, scopriamo almeno quattro inattesi punti di contatto: un senso struggente della finitezza della vita, il culto dell’amicizia, un profondo amore per la pace della sera, la speranza che tutto ciò che è autenticamente umano possa sopravvivere alla morte.
Nel lamento che Callimaco intona per l’amico Eraclito, emerge con forza vivida e commovente il ricordo delle molte volte in cui, parlando insieme, li raggiunse la sera. Chi di noi non ha provato, almeno qualche volta, questa gioia quieta e pacificante? Ventitrè secoli dopo, riecheggiando in modo sorprendente l’antico poeta, David Maria Turoldo piange il momento in cui la malattia da cui si è scoperto affetto lo ucciderà, e non vedrà più i colori del mondo, e il sole, né con gli amici si troverà a sera: un rimpianto tanto più umano, tanto più “nostro”, se si pensa che Turoldo era monaco e presbitero, eppure la fede non riuscì ad evitargli la paura e lo sgomento.
Al punto che, se Callimaco sembra trovare una rapida consolazione nell’idea tipicamente classica della sopravvivenza attraverso l’arte (gli “Usignoli” erano una raccolta poetica del compianto Eraclito), in Turoldo pare non esserci neppure questo conforto. Ma dalla sua biografia sappiamo che anche lui credeva alla forza delle opere come antidoto contro la morte: quando infatti, durante la seconda guerra mondiale e l’invasione tedesca di Milano, fondò la rivista clandestina “L’uomo”, ebbe a dichiarare che questo titolo voleva testimoniare una scelta per l’umano contro il disumano, perché – disse – «la realizzazione della nostra umanità è il solo scopo della vita».
Sull’esempio di questi due uomini così lontani fra loro nel tempo e per cultura, possiamo cercare anche noi – in un mondo carico di sofferenza e di ingiustizia – di maturare poco per volta un ritrovato gusto per le cose semplici e belle, per l’amicizia sincera, capace di vincere il dolore di vivere, e per un cammino di umanizzazione che lasci un ricordo luminoso a chi vivrà dopo di noi.
Callimaco, Antologia Palatina, Libro VII, 80
Tratto da: Salvatore Quasimodo, Fiore dell’Antologia Palatina, Guanda, Parma, 1958

Qualcuno mi disse della tua morte,
Eraclito, e piansi. E ricordai allora
le molte volte che parlando insieme
ci raggiunse la sera. Ora tu, amico
d’Alicarnasso, sei da lungo tempo
cenere in qualche luogo.
Ma vivono per sempre i tuoi “Usignoli”:
su di loro Ade che tutto rapina
non metterà le mani.

David Maria Turoldo, La sentenza
Tratto da: Canti ultimi, Garzanti, Milano, 1992

La sentenza che ora tu sai
nulla di nuovo aggiunge a quanto
già doveva esserti noto da sempre:
tutto è scritto. Di nuovo
è appena un fatto di calendario.
Eppure è l’evento che tutto muta
e di altra natura
si fanno le cose e i giorni.
Subito senti il tempo franarti
tra le mani: l’ultimo
tempo, quando
non vedrai più questi colori
e il sole, né con gli amici
ti troverai a sera...
Dunque, per quanto ancora?

Biografia

Callimaco nasce a Cirene intorno al 310 a.C. Di famiglia aristocratica ma impoverita dalla guerra, insegna dapprima alla scuola di Eleusi, un sobborgo di Alessandria. Dopo la salita al trono di Tolomeo Filadelfo, nel 283, viene chiamato a corte come grammatico. Lavora a lungo nella Biblioteca di Alessandra, di cui redige il catalogo critico completo in 120 volumi (“Pinakes”); scrive inoltre opere di ricerca erudita, linguistica e antiquaria.
L’ascesa al potere del figlio del Filadelfo, Tolomeo III Evèrgete, ne inaugura l’ascesa come poeta: scriverà liriche, giambi, elegie, inni, poemetti, e soprattutto i celebri Epigrammi, grazie ai quali è ricordato come uno dei più influenti compositori della letteratura greca antica. Muore ad Alessandria verso il 240 a.C.

David Maria Turoldo nasce in Friuli nel 1916 da una famiglia contadina e molto religiosa. A 13 anni entra nell’Ordine dei “Servi di Maria”, e a 24 viene ordinato presbitero. Negli anni Quaranta cura la predicazione domenicale presso il duomo di Milano. Durante l’occupazione nazista della città collabora attivamente con la resistenza, creando e diffondendo dal suo convento il periodico clandestino “L’uomo”.
Negli anni successivi fonda il centro culturale “Corsia dei Servi” e sostiene la fondazione di Nomadelfia, villaggio che accoglie gli orfani di guerra. Nel 1953 il Santo Uffizio, non approvando lo spazio che egli apertamente concede alla coscienza individuale delle persone, ne ottiene l’allontanamento dall’Italia: rientrerà nel 1955, prima a Firenze e poi a Udine. Nel 1964 ristruttura un’antica abbazia cluniacense a Fontanella di Sotto il Monte, ove fonda una piccola comunità monastica e il Centro di studi ecumenici “Giovanni XXIII”, aperto agli atei e ai non cristiani. Nel 1974, in occasione del referendum abrogativo della legge sul divorzio, si schiera per il “no”.
Muore a Milano nel 1992 per una forma aggressiva di tumore al pancreas: è sepolto nel piccolo cimitero di Fontanella di Sotto il Monte, vicino alla sua comunità.
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